mercoledì 23 giugno 2010

VIA LIBERA ALLE CENTRALI NUCLEARI - CONSULTA RESPINGE RICORSI

— 23 giugno 2010 — ROMA - La Corte Costituzionale - secondo quanto si è appreso - ha rigettato i ricorsi sollevati da dieci Regioni sulla legge delega del 2009 sul nucleare, dichiarandoli in parte infondati e in parte inammissibili.
A impugnare la legge n. 99 del 2009 che ha conferito al governo la delega per la riapertura degli impianti nucleari in Italia sono state Toscana, Umbria, Liguria, Puglia, Basilicata, Lazio, Calabria, Marche, Emilia Romagna e Molise.
Anche il Piemonte aveva fatto ricorso alla Consulta che però la nuova giunta guidata dal leghista Roberto Cota ha deciso di ritirare. Numerosi i profili di illegittimità della legge delega lamentati dalle Regioni.
Al governo è stata contestata soprattutto l'assenza di intesa e raccordo con ciascuna delle Regioni interessate dalla scelta dei siti delle centrali; i criteri e le modalità di esercizio del potere sostituivo dell'esecutivo centrale in caso di mancato accordo; la possibilità di dichiarare i siti aree di interesse strategico nazionale, soggette a speciali forme di vigilanza e di protezione; la procedura che prevede una autorizzazione unica (e non a livello locale) sulle tipologie di impianti per la produzione di energia nucleare rilasciata previa intesa della Conferenza unificata e dopo delibera del Cipe.
I giudici della Consulta, dopo aver ascoltato ieri in udienza pubblica gli avvocati delle Regioni e l'avvocato generale dello Stato per conto del governo, hanno affrontato la questione nella camera di consiglio di oggi pomeriggio. Sarà dalla lettura delle motivazioni della sentenza - scritte dal vicepresidente Ugo De Siervo - che si comprenderà quali siano le competenze che la Consulta ha ritenuto prevalenti nel settore del nucleare alla luce della riforma del titolo V della Costituzione. La tutela dell'ambiente e della salute sono infatti di competenza statale, ma queste devono confrontarsi con le competenze regionali concorrenti in materia di energia e di governo del territorio. Quella di oggi non sarà comunque la parola definitiva della Consulta sul nucleare: oltre che sulla legge delega, i giudici costituzionali dovranno pronunciarsi anche sul decreto delegato del 15 febbario scorso, nel frattempo impugnato da alcune regioni (Emilia Romagna, Toscana e Puglia).

POSSIBILI SITI PER IL RITORNO ALL'ATOMO
Dopo che la Corte Costituzionale ha rigettato i ricorsi sollevati da dieci Regioni sulla legge delega del 2009 sul nucleare, dichiarandoli in parte infondati e in parte inammissibili cade anche l'ultimo ostacolo di rilievo per il ripristino dell'atomo in Italia. Ora, il primo passo necessario ad avviare la fase di ritorno dell'Italia al nucleare sarà quello di scegliere i siti che ospiteranno le centrali. Operazione per la quale, secondo il governo, ci vorranno circa tre anni. I criteri per la scelta sono stati dettagliati più volte: l'European Pressurized Reactor (EPR) di tecnologia francese - quello che sbarcherà in Italia - richiede zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d'acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, la lontananza da zone densamente popolate. Non a caso il decreto legislativo varato dal Consiglio dei ministri a dicembre, che mira a indicare le aree che potranno essere scelte dagli operatori per la costruzione delle prossime centrali nucleari, indica una serie di parametri ambientali, fra cui popolazione e fattori socio-economici, qualità dell'aria, risorse idriche, fattori climatici, valore paesaggistico e architettonico-storico. Secondo il decreto, i siti che decideranno di ospitare le centrali potranno ottenere bonus sostanziosi, intorno ai 10 milioni di euro l'anno, destinati sia agli enti locali che ai residenti nelle zone in questione. Fra i nomi che puntualmente ritornano, al di là delle dichiarazioni contrarie di alcuni presidenti di Regione, ci sono quelli già scelti per i precedenti impianti, poi chiusi in seguito al referendum del 1987: Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), entrambi collocati nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico ed alta disponibilità di acqua di fiume. Fra i luoghi più papabili, anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell'acqua di mare. Secondo altri, fra cui i Verdi e Legambiente, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si è fatto il nome di Porto Tolle, a Rovigo, dove c'é già una centrale a olio combustibile in processo di conversione a carbone pulito. Gli altri nomi che ricorrono più spesso sono Monfalcone (in provincia di Gorizia) Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia (Venezia).

domenica 13 giugno 2010

VEDELAGO (TV) INAUGURA BIOSCUOLA ECOLOGICA MA FA SCALPORE ASSENZA INNO DI MAMELI

Eravamo allenati alle varie sortite dei deputati leghisti ma non ci saremo mai aspettati che l’Inno Nazionale venisse rimpiazzato dal celebre Va, pensiero di Verdi. Luca Zaia, arrivato all’inaugurazione di una nuova scuola primaria di Fanzolo di Vedelago (Treviso), ha preteso di sostituire l’esecuzione dell’inno di Mameli con Va pensiero. L’inno italiano, l’inno istituzionale per tutte le cariche dello stato. “Niente inno italiano finché ci sono io“. Meglio il «Va’ pensiero». La scelta scriteriata del Presidente della Regione Veneto, ha scatenato la polemica contro la Lega Nord, già sotto tiro dopo che, il 2 giugno, i suoi avevano disertato la Parata dei Fori imperiali e che Roberto Maroni aveva fatto eseguire a una cerimonia ufficiale La gattà di Gino Paoli al posto dell’inno di Mameli. Il cambio di programma, secondo quanto riportato dal quotidiano locale, La Tribuna di Treviso, avrebbe fatto infuriare in particolar modo la direttrice dell’ufficio scolastico regionale, Carmela Palumbo, che si sarebbe riservata di denunciare il suo sdegno all’assessore regionale Elena Donazzan.
Ma tra gli indignati c’è anche il deputato del Pdl Fabio Gava, presente all’evento. Stando ad alcune indiscrezioni, sarebbe pronto a presentare un’interrogazione parlamentare sul tema. Insomma ieri mattina l’inno italiano a Vedelago non c’è stato. Nemmeno dopo la partenza del presidente Zaia. Dell’evento di discute molto in paese e non solo. Per i prossimi giorni si preparano già le polemiche tra Pdl e Lega Nord. L’episodio purtroppo ha messo in ombra il vero motivo dell’incontro, ovvero la presentazione della nuova bio-scuola di Fanzolo. Una struttura in grado di ospitare 125 bambini e costruita seguendo i migliori dettami della nuove tecnologie per il risparmio energetico. Dotata di sonde geotermiche, pannelli fotovoltaici, legno e di un sistema di riciclo dell’acqua piovana. L’edificio ha raggiunto la «Classe Casa Clima B» con consumi inferiore ai 50 kWh per m2 all’anno. Ciò significa che la scuola può essere chiamata «edificio da 5 litri» perché ogni anno per il riscaldamento e la climatizzazione servono solo 5 litri di gasolio (o nel caso specifico 5 metri cubi di gas metano) per ogni metro quadrato di superficie.

“Zaia ha fatto sostituire Mameli con il Và pensiero? Non mi sembra possibile, anche perché il Và pensiero è ancora più patriottico dell’inno di Mameli, e dunque sarebbe contraddittorio per un leghista. Comunque, se fosse vero, sarebbe grave, perché non spetta a un governatore far sostituire l’inno italiano” ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Critico nei confronti di Zaia anche Farefuturo Web Magazine: “un mese senza criticare la Lega. Ci toccherebbe – viene spiegato – ripetere sempre le stesse cose, ricordare i principi fondamentali della nostra Repubblica, qualche nozione di diritto internazionale, un po’ di solidarietà e carità cristiana. E poi perché non conviene prestarsi al gioco. Ma soprattutto perché mentre la Lega si occupa di rassicurare il suo elettorato a suon di proclami, noi vorremmo tifare la nostra Nazionale in santa pace, dato che la loro ha già giocato“.

“L’ultima di queste sparate (trita e ritrita) – continua l’articolo – arriva da Zaia: niente Fratelli d’Italia, meglio il Và pensiero. E la penultima, qualche giorno fa, arrivava dal Piemonte governato dal giovane Cota: assumiamo professori e supplenti che siano solo “del territorio”. Qualche reazione, qualche sussulto, un po’ di indignazione, le solite repliche puntute leghiste e, per ora, basta. Ma tra lezioni di dialetto, esami di cultura locale, graduatorie regionali (che a dire il vero sono state proposte anche, più o meno velatamente, da alcuni esponenti del Pdl), inni mancanti e tricolori usati per altri fini, queste nuove «sparate» pare di averle sentite già mille volte. E hanno buone probabilità di fare la stessa fine. Nel nulla. Insomma, la parabola delle boutade leghiste è ormai abbastanza chiara. Effetto annuncio (solitamente quando ci sono elezioni in vista o trattative politiche “romane”), dibattiti infuocati sui media e poi il silenzio. Alle volte al silenzio si affianca il fallimento della proposta. Insomma, l’abbiamo capito: perchè preoccuparsi?. Oltretutto, sarà il caldo, sarà la voglia di vacanze, sarà che sono più di tre lustri che sognano la Secessione, ma i leghisti non hanno più lo smalto di una volta. Le loro “sparate” sono un po’ più stanche, un po’ più appannate, ma soprattutto molto più prevedibili. E anche, non ce ne vogliano gli amici del Carroccio, molto più innocue“.

”Se fosse vero che il ministro Zaia ha preteso di non far suonare l’inno nazionale per l’inaugurazione di un plesso scolastico in Veneto sarebbe da chiedere che il Governo ne riferisse nell’aula della Camera – ha dichiarato Emanuele Fiano del Partito Democratico -. Ovviamente non sarà vero e non ve ne sarà bisogno perché sarebbe pazzesco che un ex ministro della Repubblica, mentre a centinaia di servitori del paese, per esempio poliziotti e militari, viene chiesto anche in queste ore di continuare a difendere la sicurezza e i simboli di questo Paese vi sia un uomo di governo che irride il concetto di unità d’Italia”. Nessuna giustificazione a un gesto del genere può essere trovata secondo Andrea Martella (Pd): “Si tratta di un atto sovversivo, che va contro l’Italia e gli italiani. Ed è ancora più imperdonabile perchè compiuto, durante l’inaugurazione di una scuola pubblica, per volontà di un uomo che guida un’istituzione democratica“.

“Se corrisponde al vero siamo di fronte a un un fatto gravissimo che condanniamo con forza e chiediamo al governo di prenderne le distanze con il gesto di Zaia senza se e senza ma. Questa volta si tratta di un gesto sprezzante e intollerabile che umilia il Paese e la Costituzione” afferma Massimo Donadi, capogruppo di Italia dei Valori alla Camera. La stessa posizione assume Luigi de Magistris, eurodeputato dell’Idv. ”Se veramente il governatore del Veneto Zaia ha deciso la sostituzione dell’inno di Mameli durante un’occasione in cui rivestiva un ruolo istituzionale – ha detto -, saremo di fronte ad un atto tanto tracotante quanto offensivo verso il Paese, oltre che indegno verso la carica stessa che Zaia ricopre”. E aggiunge: ”Non una novità purtroppo, ma l’ennesimo episodio di disprezzo e offesa verso la Repubblica e la storia nazionale a cui questa forza razzista e secessionista ci ha abituati“.

“Zaia vieta l’inno di Mameli. Si vergogni. Amiamo il Veneto e siamo fieri di essere italiani” commenta Antonio De Poli (Udc), secondo cui “il primo cittadino di una regione dovrebbe dare il buon esempio di rispetto verso le istituzioni. Zaia dovrebbe tenere ben a mente che rappresenta i veneti e quando interviene in qualità di governatore non si deve permettere di calpestare la nostra storia. Lancio un appello: appendiamo la nostra bandiera fuori dalle case“.

http://www.ultimenotizie.tv/notizie-politiche/luca-zaia-vieta-linno-di-mameli-un-oltraggio-alla-nazione.html

mercoledì 9 giugno 2010

BANCAROTTA COMUNI? PIU' IMPOSTE SUI RICCHI PER DARE AI POVERI !!

La crisi riapre la questione della distribuzione. Le ragioni a favore della via più ovvia e dimenticata: ridurre i redditi di chi ha di più, per sostenere gli altri

La crisi economica attuale riapre inevitabilmente la questione della redistribuzione del reddito. Se il prodotto lordo diminuisce, qualcuno in patria deve vedere ridotti i suoi redditi. Chi? In questo articolo si farà una proposta precisa: devono essere ridotti i redditi dei ricchi, onde sostenere quelli dei poveri. Può sembrare ovvio, e infatti lo è. Se il mondo della politica fosse governato dal buon senso potrei fermarmi qui, anzi non avrei avuto alcun motivo di scrivere questo articolo. C'è la crisi, i ricchi devono aiutare i poveri. Ma a quanto pare la perdita di cultura della sinistra è tale che è purtroppo necessario dimostrare che (a) i ricchi hanno abbastanza soldi per pagare la crisi e (b) che il far pagare la crisi ai ricchi non è affatto in contrasto con la teoria economica - anzi. Il prossimo paragrafo sarà dedicato al punto (a), e quello successivo al punto (b). Un breve paragrafo ulteriore aggiungerà alcune considerazioni di carattere sociale e politico. L'ultimo contiene una proposta.

Quanti sono i ricchi, e quanto sono ricchi?

L'Istat svolge periodicamente un'indagine campionaria sulla distribuzione del reddito netto famigliare. La pubblicazione dei dati è un po' strana; fino al 2008 (con i dati relativi al 2006) comparivano in forma tabellare, ma nel 2009 compare solo un grafico. Essi comunque consentono una stima approssimativa ma attendibile di quanti sono i ricchi, e anche di quanto sono ricchi.

E' bene dire due parole sui calcoli effettuati per ottenerla. Ho considerato ricche, in modo inevitabilmente arbitrario, le famiglie che hanno un reddito netto di almeno 60.000 euro all'anno (circa 66.000 se si considerano gli affitti imputati). Questa soglia può sembrare bassa, ma è quella che assumo rendere assai poco dolorosa l'aliquota che verrà proposta. Le famiglie che superano i 60.000 euro di reddito annuo netto erano circa 3.100.000, con un reddito medio di circa 80.000 euro per famiglia.

Assumo come scenario che i ricchi, come sopra definiti, vengano sottoposti a un'imposta straordinaria di solidarietà del 5% del reddito netto. Si tratta palesemente di una cifra sostenibile. E' appena il caso di sottolineare che è una riduzione molto minore di quella che subiscono le famiglie dei lavoratori in cassa integrazione o disoccupati. In effetti, non esiste nessuna ragione di equità che impedisca un'aliquota superiore, diciamo il 10; ce ne sono anzi parecchie che la favoriscono. Come che sia, un'aliquota del 5% consente già di incamerare circa 13,6 miliardi di euro. Fin qui abbiamo parlato di tassazione dei redditi, ma se guardiamo alla ricchezza otteniamo dei dati ancora più suggestivi. Secondo i dati forniti dall'Associazione Italiana Private Banking, in Italia c'erano alla fine del 2008 594.000 "super ricchi", vale a dire soggetti con un patrimonio finanziario (quindi esclusi terreni ed edifici) superiore a 500.000 euro; 18.000 circa, i "super-super-ricchi", superavano i 5 milioni di euro. Il valore complessivo del patrimonio finanziario dei ricchi era di circa 780 miliardi (più o meno la metà del Pil italiano di un anno), e quello del patrimonio dei superricchi di circa 195 miliardi, con una media per questi ultimi di 10.833.000 euro. Credo che ben pochi potrebbero opporsi a una tassazione dell'1% all'anno per qualche anno (cioè fin che dura l'emergenza) su questi importi. Si tratta di una manovra molto mite, certo non da "comunisti feroci nemici della proprietà privata"; eppure basterebbe a produrre quasi 8 miliardi di euro. L'aggiunta di un'aliquota poco più alta sui redditi più alti (ed eventualmente di una più bassa su redditi elevati ma inferiori a 60.000 euro) e la tassazione della ricchezza dei super-superricchi per un'aliquota aggiuntiva più alta (ed eventualmente anche di quella dei quasi-superricchi) consente agevolmente di arrivare a 25 miliardi di euro all’anno. Una valida indicazione della sua portata è questa: 25 miliardi di euro consentirebbero di assegnare circa 240 euro al mese a ciascuna di quel (lo sottolineo) venti per cento circa delle famiglie che hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese (dati Istat).

A cosa servono i ricchi?

E' possibile, tuttavia, che tassare i ricchi sia dannoso per la società nel suo complesso. E' ovvio che non è così, ma come dicevo è bene spiegare perché non lo è. Ci sono quattro ragioni per cui tassare i ricchi potrebbe essere inutile o controproducente. Due sono ovvie, e le abbiamo già confutate. La prima è che i ricchi possono essere troppo pochi perché tassarli sia risolutivo: abbiamo visto che non è così. La seconda è che la "punizione" dei ricchi può togliere la voglia di diventare ricchi, e quindi danneggiare il sistema di incentivi su cui si basa l'economia. A parte altre considerazioni, abbiamo visto che la tassazione dei ricchi può essere molto proficua anche con aliquote non punitive.

Le altre due ragioni sono più sottili, e più legate alla teoria economica. La prima è che i ricchi consumano in proporzione meno dei poveri, e quindi investono di più. La seconda è che la retribuzione dei ricchi corrisponde a quanto essi conferiscono alla società, quindi se li si pagasse di meno la società non ci guadagnerebbe. Entrambi gli argomenti sono palesemente falsi, perlomeno nel caso specifico. E' vero che la riduzione di reddito causata dalla tassazione qui suggerita andrebbe perlopiù a scapito del risparmio. Un po' di calcoli consentono però di stimare che la disponibilità di capitale calerebbe del 6 per mille circa. E' molto difficile immaginare che questa cifra possa avere effetti significativi sui tassi di interesse del debito pubblico o privato e sulla disponibilità di capitale per le imprese private. E comunque è molto probabile che l'iniezione di 25 miliardi di domanda stimolerebbe gli investimenti molto più di quanto la riduzione di risparmio corrispondente li farebbe diminuire. Il secondo argomento è ancora meno credibile. Esso implica che se il reddito di Marchionne passasse dai 4,87 milioni di euro annunciati dai giornali a (poniamo) 3 milioni di euro, la Fiat ci perderebbe 1,87 milioni di euro. Se preferite, che Marchionne non avrebbe accettato di lavorare alla Fiat per, poniamo, "solo" 3 milioni di euro. E più in generale, che se riduciamo del 5% il reddito di un ricco, il valore della sua produzione diminuirebbe del 5%. Tutto ciò è palesemente falso; e il motivo è che il ragionamento teorico che sta alla base di queste conclusioni vale solo per un'economia di concorrenza perfetta. E' assolutamente evidente che una buona parte dei redditi dei ricchi di cui stiamo parlando dipende proprio dal fatto che non c'è concorrenza perfetta, e spesso nemmeno imperfetta. Non varrebbe la pena in effetti occuparsi di queste argomentazioni, se non per un interessante corollario: la stessa teoria che ci dice che in concorrenza perfetta un ricco guadagna ciò che egli contribuisce alla società, ci dice anche che quando ciò non avviene il suo guadagno è eccessivo rispetto alle esigenze della società. Se la società può impiegare meglio dei ricchi stessi il loro guadagno in eccesso, non esistono ragioni di efficienza (e ovviamente tanto meno di equità) che impediscono di portarglielo via.

Brevissime considerazioni sociali e politiche

Oltre a quelle economiche, ci sono alcune ovvie considerazioni sociali che suffragano la validità della manovra qui suggerita. E ci sono anche degli aspetti politici: li riassumo ricordando lo splendido studio di B. Ehrenreich sulla povertà negli Stati Uniti, che si chiude con l'osservazione che i poveri non possono essere cittadini di uno stato democratico, perché per loro la democrazia è come se non ci fosse (B. Ehrenreich, Una paga da fame, Feltrinelli, 2001). Quindi, oggi come ieri, redistribuire dai ricchi ai poveri è necessario anche per difendere, e possibilmente sviluppare, la democrazia. Ma c'è anche un altro aspetto, altrettanto importante e meno ovvio. La manovra qui proposta implica che si metta l'accento sulla solidarietà: c'è la crisi, chi può aiuti chi non può. Purtroppo, affermare oggi questo principio, sopratutto in Italia, non è affatto scontato. E potrebbe essere un momento importante di una rivoluzione culturale assolutamente necessaria, che porti appunto ad instaurare un'etica della solidarietà al posto di quella della furberia.

Una proposta

Nel paragrafo due abbiamo visto che i ricchi hanno abbastanza soldi, e nel paragrafo tre che non esistano requisiti di efficienza che impediscano di portargliene via un po'. Giungiamo allora alla conclusione inevitabile che la sinistra può e deve mettere al centro della sua politica la proposta "togliamo ai ricchi per dare ai poveri" (a scanso di equivoci, questa proposta non è alternativa a quella che deve essere la principale battaglia per la redistribuzione, e cioè la lotta all'evasione fiscale. Dal momento che la maggior parte degli evasori significativi sono anche ricchi, questo articolo vale anzi come smentita dell'ipotesi, piuttosto diffusa, che la lotta all'evasione "distrugga" l'economia).

Bisogna avere chiaro che questa proposta è conflittuale. Ma da che mondo è mondo la questione della redistribuzione del reddito è sempre stata conflittuale, tranne che in quei non auspicabili casi in cui il saccheggio di qualcun altro offriva risorse per tutti. Questo conflitto va quindi organizzato e gestito. In particolare, occorre definire anche tecnicamente le forme in cui la tassazione va implementata. E' evidente per esempio che le dichiarazioni Irpef non sono sufficienti. Tassare i ricchi è complicato, anche se sicuramente non impossibile; non basta volerlo fare. Però volerlo fare è sicuramente il primo e imprescindibile passo. Il lavoro di studio ed elaborazione, assolutamente necessario, non può nemmeno essere iniziato se non è inserito in una proposta politica chiara e, appunto, chiaramente conflittuale.

Mi permetto di fare una proposta di questo tipo. La lotta che sta nascendo intorno al referendum sulla privatizzazione dell'acqua sta insegnando due cose: che esiste una enorme massa di gruppi locali, radicati sul territorio sui più disparati argomenti, disposti a impegnarsi in una lotta su temi generali; e che questa lotta può essere condotta senza che i gruppi abbandonino la loro specificità di collocazione territoriale e di settore di impegno. Il modello di questa lotta potrebbe essere utilizzato anche sul tema della redistribuzione. Per esempio, in vista delle elezioni del 2013 si potrebbe organizzare una raccolta nazionale di firme di elettori che si impegnano a votare solo per quei candidati che abbiano pubblicamente sottoscritto un documento non equivoco che impegna il Parlamento ad elaborare una legge per togliere ai ricchi e dare ai poveri.

Guido Ortona

http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Piu-imposte-sui-ricchi-per-dare-ai-poveri-4640


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